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UN EROE DIMENTICATO
di Gabriele Gentili
Il destino sa essere beffardo come niente altro. Ci sono storie nel mondo dello sport che toccano il cuore, altre che fanno riflettere. Quella dell’etiope Mamo Wolde è una di queste ultime, una storia che non può lasciare indifferenti. In giovinezza Wolde mai avrebbe pensato di diventare campione olimpico: la sua ambizione è entrare nel corpo della Guardia Imperiale, cosa che gli riesce abbastanza presto, tanto da guadagnarsi anche rispetto e considerazione oltre che importanti missioni all’estero: Wolde entra a far parte del corpo di pace delle Nazioni Unite inviato in Corea dove rimane due anni. Questo gli impedisce di essere presente ai Giochi Olimpici di Roma 1960 e ripetere l’esperienza di quattro anni prima a Melbourne dove aveva gareggiato su 800, 1.500 e 4×400 metri. Direte: che c’entra allora con la maratona? Il fatto è che al tempo in Etiopia giunge un validissimo allenatore finlandese di nome Niskanen, che per i suoi meriti è stato insignito dei gradi di Maggiore. L’allenatore finnico vede in questo segaligno corridore tutte le caratteristiche del podista adatto a lunghe distanze, così allunga la gittata dei suoi allenamenti. I benefici si vedono quattro anni dopo, a Tokyo 1964 quando sfiora il podio nei 10.000 metri. Il campione ha dispiegato le ali.
 
Nel 1968 Mamo Wolde ha 36 anni. Sa che è la sua stagione, sa che è una delle grandi carte nazionali da giocare per il podio e nei 10.000 metri se lo gioca alla grande: in competizione con i kenyani Temu e Keino, mantiene la leadership fino ai due giri finali, non si spaventa degli attacchi ripetuti dei corridori degli altipiani e alla fine il solo Naphtali Temu riesce a sopravanzarlo. Per l’Etiopia è la prima medaglia d’argento olimpica. La gioia di Wolde è incontenibile: lo attende la maratona, ma in quella non ha grandi speranze, e poi c’è il grande Bikila che è la punta di diamante della squadra. Lui il suo l’ha già fatto. Il giorno prima della corsa, Bikila gli si avvicina: “Mamo, non ce la faccio, non sono in condizione e sto male. Partirò per la gara, tirerò finché posso, ma non arriverò alla fine. Sei tu la grande speranza di vittoria. Farò il tifo per te”. Wolde viene preso in contropiede: non se lo aspettava e la notte è piena di dubbi, perché sa che tutti si attendono, dopo due vittorie, una terza maratona olimpica di marca etiope. Bikila in gara fa il suo dovere, è davanti fino al 15° km, poi si fa da parte come preannunciato. Wolde sa che deve giocarsi tutto e poi ci sono i responsabili che non fanno altro che incitarlo attraverso i mezzi messi a disposizione dall’organizzazione. Persino il principale giornalista nazionale, Solomon Tessema, dalla macchina della stampa grida come un invasato, altro che aplomb giornalistico… Wolde nella prima parte di gara è in compagnia proprio di Temu, il suo rivale dei 10.000, ma il kenyano è meno avvezzo di lui ai 42,195 km e presto cede. La seconda parte è un assolo dell’etiope che vince in 2h20’26” e fa scaldare il suo popolo con un successo davvero insperato. Wolde diventa una gloria nazionale.
 
Avrebbe voluto chiuderla lì, invece continua a correre, ma senza mai dimenticare il suo lavoro nella Guardia Imperiale, dove i suoi successi sportivi gli fanno guadagnare gradi su gradi fino a diventare capitano. Nel 1972 è ancora a Monaco di Baviera e nella maratona, a dispetto dell’età, non si arrende fino a conquistare un bronzo che sorprende tutti ma lo lascia quasi indispettito: nelle interviste di rito spiegherà poi che se avesse potuto correre scalzo avrebbe fatto meglio, invece le scarpe strette lo hanno danneggiato. Ma il regolamento, rispetto a Bikila di Roma ’60, è cambiato e la sua richiesta era stata rigettata. L’anno dopo Wolde chiude la carriera sportiva così fortunata, ma come detto il destino è beffardo e spesso presenta il conto: nel 1993, durante l’insurrezione contro il dittatore marxista Menghistu repressa nel sangue, Mamo Wolde viene arrestato con l’accusa di avere ucciso un 15enne. Wolde si professa innocente affermando che era presente, ma di essere stato scambiato per il vero assassino. La sua fama è lontana e mentre all’estero si levano crociate per la sua liberazione, il governo etiope lo tiene per 9 anni in prigione fino a “beffarlo” al processo con una condanna per 6 anni di carcere. Wolde è costretto a ringraziare la corte pur continuando a professarsi innocente ed esce di prigione, ma il suo fisico è minato dagli stenti e nel 2002 si spegne a 70 anni, dimenticato da tutti e povero in canna. Come spesso succede, i meriti di un uomo vengono riconosciuti solamente dopo la morte: nella chiesa di St. Joseph ad Addis Abeba viene eretta una statua in suo onore al fianco di quella già costruita per Abebe Bikila: i due grandi campioni sono tornati ad essere fianco a fianco. Come forse saranno anche nei prati celesti, finalmente liberi di correre senza scarpe…

Credito foto: Mamo Wolde arrivo a Tokyo (foto archivio Worldathletics)

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