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E SE UN RUNNER RISULTA POSITIVO?
di Gabriele Gentili
Partiamo da un fatto, anzi da un episodio. A fine giugno si è svolto il primo evento nazionale offroad, il Trofeo Ciolo di corsa in montagna a Gagliano del Capo (LE) con vittorie di Francesco Puppi, vicecampione mondiale delle lunghe distanze e la locale Marta Alò. Si gareggiava a cronometro e seguendo tutte le disposizioni dei protocolli sanitari disposti dalla Fidal e dal Ministero, quindi organizzativamente non ci sono stati assembramenti in gara, eppure… Le cose non sono andate in maniera del tutto positiva, perché nelle ore immediatamente seguenti le gare, i social media sono stati letteralmente invasi da selfie in comune, da foto di gruppo, da immagini prese anche a caso dove si vede gente che non rispetta minimamente il distanziamento, men che meno l’uso di mascherine. Da ciò è partita la solita guerra a colpi di post fra gli accusatori e i runner, fra chi prospetta un futuro da incubo per la trascuratezza (per non dire altro…) di chi era presente e chi nega tutto, dal fatto che il coronavirus sia ancora presente al fatto che sia davvero lo spauracchio che tutti dicono.
 
Pur evitando di prendere posizione fra due tesi completamente all’estremo e difficilmente condivisibili, la vicenda porta ad alcune considerazioni sul merito. Iniziamo dal fatto che gli assembramenti c’erano, eccome se c’erano, ma perché stupirsi? Basta andare per le strade, nelle spiagge, nei locali (soprattutto nei weekend) e si potrà notare che il distanziamento è solo un ricordo, che le mascherine sono al più portate come accessori da indossare solo nel caso ci sia in giro qualche poliziotto o vigile urbano, che baci e abbracci sono tornati un’abitudine. Perché allora pensare che in una corsa podistica possa essere diverso? Semplice: perché in quel caso c’è un responsabile, nella figura dell’organizzatore.
 
Nel caso di Gagliano del Capo proprio l’organizzatore Gianluca Scarcia si è trovato invischiato nella polemica, rispondendo per le rime (anche a dire il vero sopra le righe…). Molti l’hanno accusato per quelle foto, dimenticando il lavoro fatto prima, durante e dopo la corsa. Se poi i runner se ne fregano delle regole e fanno foto e video tutti insieme, è colpa sua? E’ proprio su questo punto che gira tutto il problema dell’attività “non stadia” in questo difficile periodo: molti organizzatori preferiscono rinunciare ad allestire eventi con meno entrate, con molti più vincoli organizzativi quando poi la responsabilità in caso di un positivo resta sempre la loro. Non basta ottemperare a ogni disposizione. L’errore è a monte: per ripartire nel calcio, le autorità hanno dovuto accettare la non responsabilità civile delle società (soprattutto degli staff sanitari) perché impossibile dimostrare che il virus sarebbe stato contratto durante l’attività sportiva. La regola doveva valere anche per gli organizzatori: se tutte le disposizioni sono state ottemperate, la responsabilità finisce lì, se poi ci si avvicina troppo a qualcuno magari asintomatico ma positivo, il problema è di chi si è avvicinato. Un semplice ragionamento logico, che avrebbe permesso una più serena ripresa in questi difficili tempi. Bisognava pensarci…
Credito foto: dal Trofeo Ciolo (foto profilo Facebook)
Sport Service S.r.l. Milano, Via Smareglia Antonio, 7