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LA RIVOLUZIONE DELLA CORSA AL FEMMINILE
di Gabriele Gentili
Certe volte il destino sa essere beffardo. Portarsi via a 58 anni una donna come Grete Waitz che aveva fatto della resistenza e della tenacia il suo credo, fiaccandola dopo mesi di lotta alla più crudele delle malattie, sa tanto di ingiustizia. La sua scomparsa però proietta la sagoma della bionda atleta direttamente nella leggenda e lo sviluppo della storia femminile della maratona dovrà sempre fare capo a lei, alla sua passione per lo sport emersa sin dalla più tenera età, quando questa figlia di un farmacista e una casalinga cercava ogni occasione d’azione per imitare i fratelli più grandi. Pallamano e ginnastica sono stati i suoi primi approdi, poi si appassiona alla storia di Wilma Rudolph, la gazzella americana vincitrice di 100 e 200 alle Olimpiadi di Roma ’60 dopo aver sconfitto la poliomielite e decide di dedicarsi all’atletica. Ben presto però si accorge che non è la velocità la sua arma migliore, ma la resistenza ed è su quella che decide di lavorare. Già a 17 anni ottiene il primato europeo juniores sui 1500 metri: sono quelli anni in cui le specialità del mezzofondo iniziano a diffondersi anche fra le donne vincendo l’iniziale ritrosia dei dirigenti internazionali convinti che gli sforzi prolungati siano pericolosi per il gentil sesso. La Waitz con la sua storia sarà la miglior risposta a questi pregiudizi.
 
Dopo un’anonima presenza a Monaco ’72, la Waitz capisce che l’allenamento puro e semplice non basta, serve una dedizione totale alla causa: dieta stretta e una tabella di preparazione inconsueta per quei tempi, con un totale di 75 miglia alla settimana fra pista e strada. Nel 1974 a Roma la norvegese vince il bronzo nei 1500 metri ai Campionati Europei, l’anno dopo stabilisce il record mondiale dei 3000 metri con 8’46”6 ed è una vera sfortuna che la prova non sia ancora annoverata fra le gare olimpiche: a Montreal la Andersen (cognome da nubile) è costretta a ripiegare sui 1500 dove esce in semifinale. L’anno dopo migliora il mondiale dei 3000 nell’occasione più importante, la Coppa del Mondo, ma la pista ormai le va stretta e gradualmente inizia a gareggiare anche su strada e nel cross, dove diventa una vera specialista conquistando il titolo mondiale per 5 volte fra il 1978 e il 1983. Il sacrificio è la sua parola d’ordine e la Andersen, sposatasi nel frattempo col ragioniere Jack Waitz abbina la corsa al suo lavoro a tempo pieno come insegnante alla Oslo Bjolsen School.
 
Le notizie su questa bionda norvegese che macina km come un uomo arrivano alle orecchie di Fred Lebow, organizzatore della New York Marathon che da tempo sogna di lanciare la distanza anche in ambito femminile, ma gli serve un vessillo. Lebow nel 1978 contatta la Waitz convincendola a partecipare con gli stessi privilegi dei migliori atleti maschili. Il marito di Grete la incoraggia a provare anche se non ha esperienza sulla distanza e Grete accetta. Quel che non sa è che Lebow non è minimamente convinto che la campionessa della pista possa terminare la gara, ma il suo nome è un ottimo richiamo per portare donne ad iscriversi. La Waitz però non si scoraggia, anzi adotta una tattica attendista passando al comando dopo il 28° km per vincere in 2h32’30”, nuova miglior prestazione mondiale, ottenuta correndo la seconda parte di gara più veloce della prima. Una nuova frontiera si apre per lo sport femminile: i giornali di tutto il mondo parlano di questa donna che ha dimostrato come la maratona possa essere affrontata anche dalle ragazze, di come abbia superato ogni difficoltà come stanchezza, sete, problemi di assetto di corsa per ottenere il suo risultato. Nei mesi successivi gli inviti a gareggiare in ogni prova su strada al di qua e al di là dell’Atlantico si susseguono e la Waitz è costretta a lasciare il lavoro. Con la maratona newyorchese s‘instaura una sorta di matrimonio tanto che la norvegese gareggia ogni anno, vincendo altre otto volte fino al 1988. Storica la sua impresa nel 1979, quando solamente 103 uomini la precedono e con 2h27’33” scende, prima donna al mondo, sotto le 2h30’. Il primato cadrà ancora nel 1980 con 2h25’41” e nel 1983, con 2h25’29” questa volta però ottenuto a Londra. New York a parte, la Waitz gareggia in altre 19 maratone vincendone 13. Nel 1983 a Helsinki non tradisce il pronostico aggiudicandosi il primo titolo mondiale della storia e l’anno dopo finisce seconda ai Giochi Olimpici di Los Angeles e solo perché davanti c’è un’altra campionessa assoluta come la statunitense Joan Benoit.
 
Nel 1988 la Waitz vince la sua ultima maratona di New York, poi il fisico comincia a presentare il conto attraverso continui infortuni che nel 1991 la convincono ad abbandonare lo sport agonistico ma non la pratica sportiva, che anzi insieme a suo marito diversifica con il ciclismo e lo sci di fondo. Diventa ambasciatrice dello sport al femminile, gira il mondo per presenziare a un numero enorme di manifestazioni e nel 1992 torna a percorrere le strade newyorchesi insieme a Fred Lebow, reduce da una lunga lotta contro un cancro al cervello. La Waitz lo sostiene per tutta la gara e all’arrivo ammetterà che quella gioia provata in mezzo alla gente è stata superiore a quella di tutte le sue vittorie. D’altronde è una donna abituata a lottare, lo ha fatto fino alla fine.

Credito foto: arrivo New York archivio Worldathletics

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