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LE MARATONE DELLA FANTASCIENZA
di Gabriele Gentili
Il weekend del 12-13 ottobre 2019 resterà nella storia della maratona come una tappa miliare, un passaggio fondamentale non solo nella storia della specialità, ma del progresso dell’uomo nella rincorsa infinita verso i propri limiti. Al sabato al Prater di Vienna il campionissimo kenyano Eliud Kipchoge è riuscito in quell’impresa che aveva mancato a Monza lo scorso anno, ossia abbattere il muro delle 2 ore sui 42,195 km attraverso un tentativo a sé stante, con regole diverse da quelle della maratona classica, una prova contro il tempo con ben 41 lepri a sua disposizione, costituite dai più grandi campioni contemporanei del fondo e mezzofondo internazionale, fermando il cronometro sul fantascientifico tempo di 1h59’40”. Il giorno dopo la sua connazionale Brigid Kosgei (nella foto della homepage) a Chicago ha abbattuto un mito dell’atletica mondiale, il primato femminile di Paula Radcliffe, quel 2h15’25” che aveva fatto parlare di limite “maschile”: ebbene, la Kosgei ha portato quel primato addirittura a 2h14’04”, un tempo che, per far capire la sua portata, quest’anno è stato migliorato solamente da 3 italiani. Uomini, naturalmente…
 
Le differenze fra le due prestazioni ci sono, ma forse sono più sfumate di quanto si possa pensare. Innanzitutto va detto che se quello della Kosgei è un primato a tutto tondo, anche se deve ancora essere ratificato dalla Iaaf, quello di Kipchoge (sotto nella foto) resterà una prestazione scritta negli annali ma non ufficiale, perché ottenuta attraverso una manifestazione privata, voluta dagli sponsor (a Monza era stata la Nike ad organizzare l’evento, questa volta è stata l’Ineos, colosso che finora era conosciuta più per aver preso il posto di Sky nella gestione del più famoso team ciclistico internazionale) e quindi allestita mettendo a disposizione di Kipchoge tutto il possibile per la riuscita dell’evento, da una nuvola di lepri disposta a fronteggiare il vento a una linea ideale da seguire per non percorrere neanche un centimetro in più. Senza dimenticare le scarpe, un prototipo ancora non legalizzato che test di laboratorio dicono possano far guadagnare anche 4” a km.
Il tempo della Kosgei è stato ottenuto invece in una gara reale, ma le condizioni nelle quali ha corso non sono poi così diverse, avendo avuto a disposizione due lepri personali identificate in due maratoneti professionisti, suoi connazionali, con primati notevolmente inferiori a quello siglato alla fine, in grado di supportarla per ognuno dei 42.195 metri di gara, senza considerare tutti gli altri corridori impegnati per proprio conto. Per questo la Iaaf ha qualche anno fa differenziato i primati femminili, fra quello in gare “per sole donne” e quello in prove miste.
 
Fatti i dovuti distinguo, resta però l’enorme clamore destato dalle due imprese: la prova di Kipchoge ha destato, esattamente com’era avvenuto un anno fa a Monza, un grande dibattito fra chi ha bollato l’evento come una grande recita pubblicitaria e chi invece ha difeso a spada tratta l’impresa. Certo, le agevolazioni che il campione olimpico ha avuto a disposizione sono state notevoli, ma il valore della sua prova resta intatto, i 42 km li ha comunque percorsi con le sue gambe e l’emozione destata in chi era sul posto come in chi l’ha seguita via web resterà per sempre. Kipchoge ha aggiunto un’altra perla alla sua straordinaria carriera e rumors vicini alla Iaaf indicano la scelta di spostare le maratone olimpiche 2020 da Tokyo a Sapporo come dettata proprio dalla volontà di rivederlo in gara alle Olimpiadi, in un clima più adatto rispetto al caldo torrido che gli sportivi troveranno a Tokyo.
 
Per quanto riguarda la Kosgei, il clamore è motivato dal fatto che è riuscita ad abbattere un primato che quasi tutti ritenevano imbattibile per ancora molto tempo. E’ vero da una parte che, rispetto all’epoca del record della Radcliffe, correre sotto le 2h20’ è diventato ora più fattibile per le donne (sono 47 le prestazioni a tutt’oggi ottenute da 32 atlete) ma è anche vero che nessuna era riuscita neanche ad avvicinare il primato della britannica, invece la Kosgei, che ricordiamo avere colto la sua seconda vittoria in maratona a Milano nel 2016, l’ha stracciato, correndo la prima metà gara in 1h06’59” e la seconda in 1h07’05”, tempi che sulla mezza sono nelle corde di pochissime atlete. Per capire il valore della sua prova, tutti i suoi passaggi, dai 5 ai 10 km, dalla mezza ai 30 km, sono inferiori ai primati italiani sulle relative distanze, ottenuti in gare specifiche, non di passaggio… Speriamo solo che i legittimi entusiasmi scatenati dalla sua impresa e mischiati allo stupore non assumano col passare degli anni e l’arrivo di eventuali spiacevoli notizie un sapore amaro. Chi ama l’atletica vuole crederci fino in fondo.

Credito foto: REUTERS/Leonhard Foeger_per_sport_yahho_Credito foto homepage: Iaaf

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