Donne incipriate e uomini col cappello seduti ai tavolini del bar centrale si voltano infastiditi. Il parroco benedice i fedeli con la mano destra, interrompe il sermone per portare la sinistra alla fronte e guardare piu' lontano. La signora del terzo piano spegne l'aspirapolvere e si precipita alla finestra, appoggia i gomiti sul davanzale per sporgersi ancora un po'. Il barbiere ferma la lama affilata sulla giugulare dell'ultimo cliente rimasto, e punta gli occhi fuori dalla vetrina ingiallita. Alla fermata del bus, l'autista di una corriera stanca e puzzolente, spegne il motore per ascoltare meglio. Giovani mamme spingono i passeggini coi ventri ancora molli, abbassano gli occhiali da sole per sbirciare. Un nonno con la bici a bacchette e il nipote nel seggiolino, punta i freni e si affretta a girare la testa del piccolo nella direzione giusta. Quando finalmente, dal fondo del corso principale, il rumore ruvido della catena che accarezza i pignoni, anticipa di poco l'ingresso del gruppo che entra fluido nella piazza, come su un rullo t rasportatore che se lo guardi fisso, non sai se è lui a muoversi o sono le case a scorrere. E come col treno ad un passaggio a livello, le teste si muovono da sinistra a destra, ancora, in continuazione, finché l'ultima bici non sarà passata. Il gruppo è grande, il gruppo è bello. E' lussuoso e strafottente. I ciclisti sembrano tutti uguali e invece ognuno è diverso; è un mondo, una maglia, una bici, una storia da raccontare per salite infinite. I muscoli lucidi delle cosce salgono e scendono sincroni come l'albero a camme del motore di una petroliera. Dietro le mascherine a specchio gli occhi guardano la strada che arriva. Sotto i caschetti i pensieri vedono quella che va. Un suono limpido si mischia al vociare delle cambiate veloci. Quando il gruppo passa, il paese guarda. Quando il gruppo passa, tutto il resto… resta. |